La storia dei consultori familiari e i presidenti nazionali UCIPEM e CFC a confronto

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(Webinar Cispef tenuto da Don Ermanno D’Onofrio)

Ripercorrere le tappe della costituzione dei Consultori familiari risponde al dovere di una memoria che affonda le sue radici nel passato ma che alimenta il presente di una realtà che dà ancora frutti abbondanti. Gli interventi succedutisi hanno ripercorso non solo la storia dei consultori ma hanno anche rimarcato molti delle loro caratteristiche fondanti.

I padri fondatori

La nascita dei Consultori è legata alla figura di don Paolo Liggeri, che nell’agosto del 1943, in una Milano devastata dalla guerra, fondò l’istituto “La Casa” con pochi ma generosi collaboratori, per soccorrere coloro che avevano perso tutto. Già qualche anno più tardi era diventato un luogo di attività e di sostegno alla famiglia. La decisione di dar vita ad un Consultorio prematrimoniale e matrimoniale arrivò il 15 febbraio del 1948. Alice Calori, prima collaboratrice di don Liggeri, ricorda che l’esperienza di quel primo Consultorio si diffuse rapidamente e altri ne sorsero in varie città d’Italia, nel 1953 a Verona, nel 1962 a Napoli per opera del gesuita Padre Domenico Correra , nel 1966 a Roma, grazie a padre Luciano Cupia. È sempre Alice Calori che ricorda la specificità del progetto consultoriale, che intendeva offrire il suo servizio ad ogni persona con difficoltà di relazione, ad ogni coppia e ad ogni famiglia, nel pieno rispetto delle loro convinzioni etiche e del proprio diritto all’autodeterminazione.

Insieme ai Consultori familiari inizia a delinearsi la figura del Consulente familiare quale operatore privilegiato all’interno del Consultorio. Pioniere della Consulenza familiare è stato Charles Vella che nel 1957 fondò a Malta il primo Consultorio di ispirazione cristiana. Nel 1973 pubblicava “Il Consulente matrimoniale” e nel 1978 “Il Consultorio e il Consulente familiare”: questi due testi danno organicità alle idee di Vella per la costituzione dei Consultori ma soprattutto per la formazione dei Consulenti familiari. Leggiamo nella prefazione del 1978: «Questo testo vuole quindi proporre la figura del vero marriage counsellor opportunamente formato […] in modo da facilitare il lavoro del Consultori sia pubblici che privati per raggiungere e mantenere un livello scientificamente e quindi professionalmente valido, quale si registra in molti paesi stranieri».

L’UCIPEM (Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali) nasce nel 1968; i Consultori presenti in Italia decisero di associarsi per dare una risposta più strutturata e sempre più qualificata ai bisogni delle famiglie, dedicandosi con mezzi idonei ad affrontare le criticità della coppia in formazione o già formata. Sergio Cammelli, secondo presidente UCIPEM, durante il IV congresso Nazionale a Recoaro nel 1975 riconfermava il ruolo fondamentale del Consulente matrimoniale e incoraggiava a lavorare per il pieno riconoscimento del suo ruolo all’interno dell’équipe dei Consultori. In questo contesto si inserisce il piano formativo di Vella, offerto a tutti gli operatori dei Consultori che parteciperanno con entusiasmo ai primi training residenziali per Consulenti matrimoniali e familiari che si tennero nel 1972 a Pisa, Taranto e Catania e che dal 1975 si strutturarono come Corsi biennali per Consulenti familiari in diverse città d’Italia.

Nel 1976, per volontà di Padre Luciano Cupia nasce a Roma la SICoF, Scuola Italiana di formazione Consulenti Familiari, presso il Consultorio dell’Associazione “Centro La Famiglia”, già socio dell’UCIPEM. L’istituzione di una scuola di formazione per consulenti familiari era dettata dalla convinzione e dalla necessità di formare operatori muniti di un’adeguata preparazione, capaci di stabilire relazioni d’aiuto professionali ed efficaci all’interno dei Consultori familiari.

Nel 1975, con la legge n. 405, lo Stato italiano istituisce i Consultori familiari pubblici. Gli scopi che lo Stato si propone di raggiungere sono chiaramente espressi nell’art.1, analizzando il quale si comprende che la legge ha una connotazione essenzialmente medica anche laddove si parla di assistenza psicologica alla maternità e paternità responsabile. Ma il vero limite di questa legge sta nel non aver precisato chi siano i consulenti coniugali e familiari.

Nel 1977 nasce l’AICCeF (Associazione Italiana Consulenti della Coppia e della Famiglia): figura fondamentale è quella del suo primo presidente, Giovanna Bartholini. Nel lavoro di Consulente familiare portò la sua disponibilità a mettersi a servizio dell’altro facendo prevalere sempre l’empatia e il non giudizio, come insegnatole dai suoi maestri Carl Rogers e Jean-Marie Lemaire, e mise tutta la sua esperienza, maturata anche all’estero, nella fondazione dell’Associazione per la promozione e la tutela della professione del Consulente della coppia e della famiglia.

IL CONSULTORIO FAMILIARE OGGI

La struttura del Consultorio familiare è sostenuta da cinque pilastri che ne denotano sia le professionalità che operano al suo interno sia l’attenzione al tipo di relazione che si costruisce tra professionista e persona:

  • l’équipe;
  • la figura del consulente familiare;
  • l’accoglienza incondizionata;
  • la relazione di aiuto come percorso e cammino condiviso professionista-persona;
  • il concetto di “familiare”

Padre Luciano Cupia sottolineava l’importanza dell’équipe, il cui lavoro non è solo l’esame dei casi ma è «un lavoro interessante, interdisciplinare, è una comunicazione profonda fra i diversi membri dell’équipe». In questo contesto, il consulente familiare ha un ruolo chiave, in quanto secondo Cupia: «è come una guida alpina […] un compagno di viaggio che accompagna il cliente camminandogli al fianco senza accelerare o andare troppo piano. Egli è capace di trasparenza, tenerezza e tolleranza ed è il curatore della relazione».

Una delle condizioni imprescindibili del professionista è l’accoglienza incondizionata, una modalità di costruzione e cura della relazione definita da Carl Rogers. Attraverso di essa il professionista accetta il cliente, qualunque sia il suo vissuto e la sua esperienza, trattenendosi dall’esprimere giudizi morali ed evitando di farsi influenzare da preconcetti e pregiudizi.

La relazione di aiuto si costruisce come percorso e cammino condiviso professionista-persona. Essa segue la cosiddetta “regola delle 5 A”, ovvero Accoglienza, Ascolto, Accompagnamento, Azione e Arricchimento. Queste sono le fasi che il professionista e la persona si trovano ad attraversare durante il percorso consulenziale. L’Accoglienza permette di creare un contesto di relazioni umane autentiche, dove sia il consulente sia l’utente si sentono riconosciuti e valorizzati nella loro unicità, al fine di instaurare un rapporto basato sulla fiducia e proiettato a fare chiarezza sulla motivazione e la reale richiesta d’aiuto. L’Ascolto è una disposizione attiva a comprendere il punto di vista della persona, sospendendo qualsiasi giudizio. Essa si sente così sostenuta nel riconoscere il disagio e nel valorizzare le sue risorse per superarlo. Durante la fase dell’Accompagnamento il professionista, come in una composizione musicale, subordinato alla parte principale che spetta alla persona in consulenza, la affianca nei suoi vissuti conferendole risalto e supporto per il raggiungimento dell’obiettivo del contratto. La persona accolta, ascoltata e accompagnata è ora in grado di progettare e realizzare un cambiamento tramite un’azione concreta. L’Azione è quindi una “vita nuova” vissuta attuando modalità, comportamenti e pensieri diversi e benefici appresi durante la relazione di aiuto.

Infine, il concetto di “familiare” ben chiarisce e riassume un insieme eterogeneo di aspetti ugualmente importanti: lo scopo dell’intervento professionale; la definizione luogo privilegiato per il servizio svolto; la dimensione dell’accoglienza che favorisce l’efficacia dell’intervento; l’appartenenza sociale della persona che chiede aiuto: essa non è un’isola ma vive di relazioni particolari nella famiglia d’origine, nella comunità, nella società intera.

IL CONSULTORIO COME UNA CASA


Il Consultorio si inserisce all’interno di un spazio comune, conosciuto, familiare, come quello di una casa che si rifunzionalizza per la cura della persona. Il pianerottolo diventa la bacheca in strada dove il Consultorio si apre all’esterno per farsi conoscere, per incontrare il mondo in uno spazio che è ancora neutro. La “zona giorno” della casa è quella dello spazio sociale aperto dove avviene la prima accoglienza, il primo incontro: la cucina diventa la reception e il soggiorno la sala di attesa; il salotto diviene la sala polivalente con spazi adeguati per le riunioni dell’équipe del Consultorio, per gli eventi, per la formazione degli operatori. La “zona notte” è la parte più intima della casa, zona di riposo e di conforto. Qui lo studio diventa l’ambulatorio e la camera, la stanza dei colloqui, luoghi che custodiscono il vissuto della persona. Sottraendola agli sguardi intrusivi del mondo, offrono efficaci spazi per la relazione d’aiuto e la cura. Anche l’archivio trova il suo posto in questa parte della casa perché custodisce “storie di vita” che meritano altrettanta cura e protezione.

Presidenti in dialogo

Gli interventi della dott.ssa Livia Cadei, presidente nazionale della CFC (Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana), e del dott. Francesco Lanatà, presidente nazionale UCIPEM, hanno contribuito a identificare con chiarezza gli obiettivi e lo spirito dei Consultori, nonché il loro rapporto con la Chiesa e le istituzioni pubbliche.

La dott.ssa Livia Cadei, inquadra la nascita dei Consultori diocesani come risposta che l’assemblea dei Vescovi italiani volle offrire ai bisogni delle famiglie dopo l’approvazione della legge n. 405 del 1975, che istituiva i consultori pubblici. La presidente sottolinea come questa decisione non fu frutto di un atteggiamento difensivo ma nacque per far sentire l’attenzione della Chiesa alla specifica realtà familiare. Ricorda che don Edoardo Algeri, prematuramente scomparso, amava dire: «quest’opera è la carezza della Chiesa alla famiglia».

La CFC nasce il 16 aprile del 1978 per coordinare e promuovere i Consultori con un’attenzione particolare ai territori, alla persona e all’interdisciplinarietà. La presidente Cadei definisce il Consultorio “un luogo-risorsa per le famiglie e le persone” e ricorda che, sulla prima pagina della brochure di presentazione del convegno per il quarantesimo della CFC, don Algeri volle disegnato il profilo di alcune case con un campanile che si staglia fra i tetti. Questo perché, diceva don Algeri: «la Chiesa sta in mezzo alle case per incontrare le famiglie dove vivono. Una Chiesa che, attraverso il Consultorio, non attende ma va a suonare i campanelli».

In questo periodo di isolamento a causa dell’emergenza sanitaria, la dott.ssa Cadei sottolinea l’impegno dei Consultori ai quali è stato chiesto di accompagnare le famiglie affinché tornino ad avere fiducia, riscoprendo risorse apparentemente “congelate”. I Consultori sono chiamati a “fare rete” per condividere concrete prospettive di intervento. Secondo la presidente, nei Consultori c’è un capitale non solo umano ma anche «narrativo, che va speso a favore di una dimensione generativa per scrivere nuove pagine di questa storia. In questo momento particolare, forse abbiamo proprio bisogno di sentirci dentro una storia da scrivere insieme». In Lombardia, ad esempio, ai Consultori CFC è stata chiesta una collaborazione per l’accompagnamento e il sostegno spirituale delle famiglie in questo momento di grave lutto.

Individuando nei Consultori dei veri e propri “presidi territoriali a bassa soglia” dove si accede con molta facilità, la dott.ssa Cadei ritiene che essi possano svolgere un efficace lavoro di prevenzione perché «possono leggere i bisogni che ancora non sono diventati domande o emergenze». A conclusione dell’intervento, viene rimarcata la dimensione del volontariato come caratterizzante per i nostri Consultori, in quanto «non è una risposta privata ma diventa una risposta etica perché afferma la cultura del dono, dell’apertura all’altro. Il volontario non improvvisa il suo intervento ma ha una specifica formazione. Il volontario non va a coprire una mancanza ma è una ricchezza in più».

Il dott. Francesco Lanatà, presidente nazionale UCIPEM, rispondendo a coloro che hanno intenzione di far nascere un Consultorio di ispirazione cristiana, non nasconde che sia un’impresa impegnativa. Sottolinea: «occorre avere solide motivazioni, risorse sufficienti e forze disponibili» e che di ogni persona impegnata in questo progetto «bisogna conoscere la professionalità tecnica e la professionalità umana […], bisogna sapere che gli operatori devono essere preparati e in continuazione aggiornati […] e che è necessario insegnare il lavoro in équipe, che non si improvvisa ma necessita di specifica formazione». Infine, ricorda sempre di “fare rete”.

Il dott. Lanatà integra il suo intervento con l’indicazione di quali siano i passaggi burocratici per cercare una collaborazione con il settore pubblico che vengono riassunti nella “regola delle tre A”:

  • autorizzazione;
  • accreditamento;
  • accordi.

L’Autorizzazione si chiede al Sindaco della propria città, il quale valuterà il rispetto dei requisiti minimi richiesti dalla legge da parte della struttura che presenta la domanda. La richiesta di Accreditamento si inoltra al Presidente della Regione di appartenenza. Ulteriori requisiti vengono richiesti perché la struttura «diventi credibile presso lo Stato, al pari delle istituzioni pubbliche, in modo tale che lo Stato potrà fruire di te e affidarti la realizzazione di specifici compiti». Infine gli Accordi sono le Convenzioni con l’amministrazione pubblica per poter ricevere quelle risorse economiche che permettano al Consultorio di lavorare in tranquillità.

Il dott. Lanatà ribadisce l’impegno dell’UCIPEM per la stipula di convenzioni che permettano a tutti i Consultori associati di godere di questa opportunità che, in ultima analisi, si riflette sulla sopravvivenza e sulla qualità del volontariato.

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